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Non è costume del cielo alzare la testa. Nino Campisi legge Ingeborg Bachmann




"Non è costume del cielo alzare la testa", liberamente tratto "Alles" di Ingeborg Bachmann. (Prima parte.)



Rifrazioni di parole, riflessi di teatro


Se ne "Il tempo non è una pausa di riflessione " è la complessità del rapporto tra individui, donne, in questo caso, a voler essere detta, a infrangersi contro il dicibile, trascinando con sè le contraddittorie emozioni di una maturità da trovare, in "Non è costume del cielo alzare la testa" la dimensione del rapporto è semplificata e diventa quella di un uomo con la propria discendenza, la propria stirpe, la propria paternità.


Liberamente tratto da "Alles" ("Tutto") il testo presenta le dure riflessioni di un giovane padre che ha perduto il figlio, in una banale gita scolastica, in un banale incidente, uno come tanti dalle cronache dei giornali.


L'indicibile è qui l'inconcepibile; il quotidiano, scontrandosi con il tragico, perde di identità, diventa paradossale.


A tale assurda coesistenza si affianca la sfera del mitico: le proiezioni non soddisfatte di una paternità nuova rientrano lentamente, sotto l'ingigantirsi delle immagini patriarcali, di una tipologia maestosa e consunta che non garantisce il senso e la sopravvivenza.


Interamente affidata all'interpretazione di Daniele Ruzzier, molto sensibile e sempre misuratissimo, mai sbilanciato verso facili risonanze, la scrittura scenica di Campisi sceglie di affiancare due codici espressivi diversi: da un lato la recitazione "minimalista", molto sentita ma anche molto limpida che consegna lo sviluppo dell'emozione al Mahler dei Kindertotenlieder e sono le note della tragicità del quotidiano. Dall' altro il gesto pieno, la maschera, la danza, ed è la raffigurazione plastica del mito negli atteggiamenti melodrammatici appoggiati alla musica di Wagner.


Anche in questo caso i linguaggi restano separati e indipendenti, ma si concatenano con fluidità, acquistando gradatamente in pregnanza, sviluppando e rivelando, via via, le proprie interne chiarezze."


Luisa Gabbi


 

Recensione tratta da

Mongolfiera - n. 84, luglio 1988

Archivio Storico del Teatro del Navile


 

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